Senza regole non è pensabile nessuna organizzazione sociale, nessuna società può esistere senza delle regole. Per questo è così importante rendersi conto che le regole esistono per una ragione, e non è quella di essere infrante. Io penso che le regole esistano perché senza di loro nessuno saprebbe cosa fare. Immaginate di essere in un isola deserta, dove è rimasta solo una piccola comunità, isolata dal resto del mondo. Come sapreste come collaborare, a quale scopo farlo, e perché, senza delle regole? Chi dovrebbe decidere, perché? Come legittimare qualunque azione, senza sapere in quale direzione dovremmo andare? Le regole costituiscono nel loro insieme il diritto, e il nucleo del diritto non è altro che l’unità costitutiva di ogni società. Di più, l’unità costituente: in lei è depositato il senso stesso della società, il suo progetto. È per questo che abbiamo bisogno di regole, perché non siamo in grado di compiere sempre azioni consapevoli, e i nostri progetti, nelle nostre mani sole rischierebbero di svanire, di prendere altre direzioni, talvolta forse troppo volubili persino per potersi realizzare.
Poi accade che le leggi si facciano forti, si legittimino, si irrigidiscano. Non è più il dominio dell’uomo sull’uomo, ma della legge sull’uomo, su ogni uomo. In una società liberale (come quella che si è costituita in Europa a partire dalle idee del giusnaturalismo e del costituzionalismo) questo poteva essere considerato l’ideale: nessuna sovranità imposta dall’alto, perché anche sull’alto si impone, unica sovrana, la legge.
Ma la legge non è cosa che si faccia da sé: la legge è un artificio dell’uomo, e ha bisogno dell’uomo per farsi. Non di un solo uomo, ma di partecipazione, una legge non può che essere legittimata dalla volontà comune, che non è quella di Rousseau, non è la sovranità popolare degli alienati nella comunità, ma assomiglia più alla pratica comunicativa di Habermas, al suo tipo di uomo, un uomo che non agisca solo in senso strumentale e in vista di un fine materiale, ma che sappia anche comunicare alla ricerca di un intesa che avvicini le diverse soggettività. Solo il principio del discorso, in questo senso, può legittimare il diritto. Solo una discussione razionale che richieda la partecipazione del maggior numero di persone può legittimare il diritto.
Al di là delle pretese su un tipo di democrazia molto lontano da quello di oggi, queste teorie mi hanno sempre fatto credere ad un accezione piuttosto complessa dei diritti umani. Diritti umani non può significare diritti per gli uomini (che esistano prima degli uomini e che in quanto tali costituiscano una visione unilaterale del concetto stesso di uomo e di diritto), quanto piuttosto diritti degli uomini, diritti che gli uomini hanno desiderato per se stessi e che si sono presi, si sono costruiti nel modo in cui Hume faceva costruire loro l’artificio della società e della giustizia.
Quello che significa questa sottile differenza che ho tentato di fare (che non indica altro se non che il protagonista di diritti umani è l’uomo in carne ed ossa, e non il principio di uomo) è che un diritto per essere umano non può poggiare su un uomo solo, o su una sola accezione dell’uomo. Hegel diceva che la libertà è tale soltanto quando è universale, quando la consapevolezza di essere liberi è di ogni uomo. Ecco allora il senso: un diritto è umano soltanto quando comprende tutti gli uomini, perché l’umanità non ha in nessun uomo la sua fine né il suo inizio, e comprende ognuno di essi in modo uguale, e soprattutto in modo particolare.
Allora io mi chiedo: quanto è umano un diritto che è concetto squisitamente occidentale? Un diritto che, ad esempio, è democrazia, e uno specifico modello di democrazia, cioè quello occidentale, quello dell’economia capitalista e del mercato libero.
Schmitt chiedeva di non credere a chi parlava di umanità, perché tentava soltanto di ingannare e di imporre la propria egemonia, sotto la pretesa di una generalizzazione/inclusione globale che, in quanto tale, implicava per forza una esclusione: l’esclusione dell’altro, della sua alterità che è l’essenza stessa del suo essere umano.
Voi credete davvero che la democrazia possa salvare il mondo intero? Credete davvero che si possa esportare un concetto (di diritto, come di uomo, di società, eccetera) nato e cresciuto in Europa, e pretendere che grazie ad esso nessun bambino abbraccerà più un fucile? Io non ci credo, perché credo che la realtà sia più complessa di così.
Non si parla di democrazia o di tirannide: ci sono molti più fattori in gioco, fattori complessi che derivano anche in gran parte dalle specificità di ogni luogo.
Ho letto delle donne in Cecenia che vengono stuprate: per loro non c’è solo questa violenza, la loro cultura prevede che queste donne vengano uccise, e vengono uccise dai loro stessi familiari, e così per loro è interdetta anche la vita. Spesso, durante la guerra, erano gli stessi soldati russi a violentare queste donne, e i loro crimini restavano impuniti anche perché l’unico modo per salvare le donne era non far sapere cosa era successo loro. Ma un ceceno non è un barbaro, un ceceno è un uomo, un uomo che nessuna democrazia può aiutare.
Vale anche per le donne africane che non possono accedere alle contraccezioni perché la forte religiosità del contesto in cui vivono non lo permette loro, perché non lo permettono a se stesse: ma come potrebbero permetterlo? Loro non sono nate in Europa, le loro madri non avevano già ottenuto di gran lunga rispetto alla generazione precedente la loro autonomia. Semplicemente, le loro madri non sono le nostre, e le loro figlie non possono essere aiutate dalla retorica dell’eurocentrismo. Sono esseri umani, ma non sono europei, non sono occidentali. In quanto esseri umani hanno il diritto di avere diritti, in quanto autonomi e capaci di diversità (che non significa inferiorità, che non significa impossibilità di comunicare) hanno il diritto di essere compresi per quello che sono.
La realtà è diversa in ogni luogo del mondo, in ogni società: ognuna di esse ha bisogno di un aiuto, costruito ad hoc per ognuna, perché non esiste un solo modo di essere umano, di essere madre, di essere donna o di essere una società.
Serena Linari
Riferimenti:
Anna Politkovskaja Cecenia, il disonore russo. Fandango 2003
Luca Scuccimarra Proteggere l’umanità. il Mulino 2016